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sabato 14 giugno 2025

GLI INGANNI DELL'OCCHIO

GLI INGANNI DELL'OCCHIO Come la vista può farci sbagliare
L'occhio è l'organo più importante per l'attività di volo: circa l'80% delle informazioni necessarie per un corretto pilotaggio pervengono tramite la vista. Ma a volte può trarre in inganno ... Meccanismo della visione
Rappresentazione in sezione dell'occhi umano
Dal punto di vista funzionale l'occhio è analogo alla camera di una macchina fotografica, originando la formazione dell'immagine posteriormente, a livello della retina, eccitando la sensibilità delle cellule presenti che, attraverso il nervo ottico, raggiungono il cervello. La luce entra nell'occhio attraverso la cornea, trasparente e dotata di un'opportuna curvatura. La quantità di luce viene controllata dall'iride che funziona come un diaframma aumentando o diminuendo il diametro della pupilla.
La luce passa quindi attraverso il cristallino, per la messa a fuoco finale dell'immagine e attraversato il bulbo, la luce arriva alla retina.
Il campo visivo Il campo visivo è l'area che rappresenta la parte del mondo esterno visibile quando si fissa un punto. Il campo visivo monoculare si estende sul piano orizzontale per oltre 90° temporalmente e per 60° nasalmente, mentre sul piano verticale superiormente per 60° e circa 70° inferiormente, assumendo così una sorta di forma ovoidale.
I campi visivi monoculari dei due occhi si sovrappongono parzialmente nella zona binoculare e il campo visivo binoculare amplia l'estensione laterale a circa 200°.
Campo visivo
Visione stereoscopica La visione binoculare consente al cervello di combinare le immagini catturate dai due occhi dandoci il senso della profondità. La visione stereoscopica così ottenuta fa sì che un'immagine proiettata sul punto cieco di un occhio (e quindi invisibile) sia comunque percepita dall'altro. Il sistema visivo umano è capace di percepire la profondità solo fino a distanze di circa 50-60 metri e, molto meglio, in condizioni di luce. Visione foveale e visione periferica All'interno del campo visivo, la visione distinta è concentrata nella fovea delle due retine. La visione foveale è caratterizzata da:
  • sensibilità al colore,
  • massima acuità visiva,
  • discriminazione e riconoscimento degli oggetti,
  • mancanza di sensazione del movimento.
Il resto del campo visivo è interessato dalla visione periferica caratterizzata da:
  • insensibilità al colore,
  • bassa acuità visiva,
  • avvistamento di oggetti (ma non la discriminazione e il riconoscimento),
  • sorveglianza, scoperta, avviso,
  • percezione del movimento.
Adattamento al buio e alla luce Il passaggio tra visione diurna (solo coni) e visione notturna (solo bastoncelli) non è immediata, ma richiede circa 20-25 minuti. Al contrario, quando l'occhio adattato al buio viene esposto alla luce intensa, viene temporaneamente abbagliato. L'adattamento alla luce richiede circa 5-10 minuti.
Coni (in verde) e bastoncelli (in marrone)
Sequenze di scansione Per sorvegliare lo spazio davanti a sé e scorgere altri traffici, il pilota può suddividerlo in settori contigui di ampiezza 10°-15°, e fissare lo sguardo in ognuno di essi per un paio di secondi. La scansione va fatta muovendo gli occhi e il meno possibile la testa, poiché quando si muove la testa la visione risulta sfocata.
Sequenze di scansione
Punto cieco Ognuno degli occhi contiene un'area che non ha fotorecettori (coni) perché è occupata dal nervo ottico. è difficile accorgersene perché queste aree sono situate in punti opposti del campo visivo. Comunque questi esempi che seguono serviranno a "isolare" il vostro punto cieco.
Punto cieco
Si chiuda l'occhio sinistro e col destro si fissi la croce.
Spostandosi ad una certa distanza l'aeroplanino nero svanisce lasciando al suo posto un'area bianca.
Il cervello infatti cerca di riempire lo spazio vuoto con lo sfondo più probabile prendendolo in prestito dai contorni dell'area che non può essere osservabile.
Osservate infatti l'immagine seguente per rendervi conto di questo fenomeno.
Punto cieco
L'aeroplanino viene sostituito dalla barra rossa.
Limitazioni del campo visivo Quando guardiamo una scena l'occhio non cattura tutti i particolari compresi nel campo visivo ma soltanto quelli relativi ad un'area ristretta che sarebbe quella attorno al punto che stiamo fissando. I minimi e repentini movimenti degli occhi, che noi comunque non avvertiamo, costringono gli occhi stessi a variare continuamente il punto di osservazione permettendo al cervello di ricostruire un'immagine più ampia e particolareggiata.
Limitazioni del campo visivo
Fissate per una ventina di secondi il punto nero al centro dell'immagine qui sopra.
Dovreste provare la sensazione che l'ombreggiatura scompaia pian piano, per lasciare spazio soltanto al puntino nero!
Illusioni del Colore: Griglia di Herman I punti nelle intersezioni sono bianchi o azzurri?...
La griglia di Herman
Anche se si tratta di un'immagine statica i nostri occhi la renderanno dinamica cercando di riempire gli spazi bianchi con lo sfondo azzurro che li circonda. Il risultato sarà quello di vedere dei puntini bianchi che tendono a diventare blu e sembreranno "lampeggiare"!
False impressioni Durante il volo diurno, riguardano per lo più la percezione della posizione dell'aereo rispetto alla pista.
Percezione della posizione dell'aereo rispetto alla pista
Pendenza della pista Può indurre ad effettuare gli avvicinamenti lungo traiettorie troppo piatte o troppo ripide a seconda che la pista sia in salita o in discesa. Se abbiamo una pista in salita rispetto all'orizzonte, la traiettoria normale di discesa risulterà formare un angolo rispetto al terreno più grande di quello rispetto all'orizzonte. Di conseguenza al pilota può sembrare di essere alto. Tenderà quindi a scendere di quota col pericolo di arrivare corto. Al contrario nel caso in cui si abbia una pista in discesa, l'angolo di discesa rispetto al terreno sarà inferiore a quello rispetto l'orizzonte. Il pilota può avere l'impressione di essere troppo basso. Tenderà quindi a salire di quota rischiando di arrivare lungo. Geometria della pista Piste più larghe del normale (in genere anche più lunghe), generano l'impressione di essere più vicino alla pista e più in basso di quanto in realtà non sia e perciò si è indotti ad arrivare lunghi. Piste più strette e corte del normale generano l'impressione che l'aereo sia ancora alto e lontano e perciò inducono ad abbassarsi troppo presto.
Inganni della geometria della pista
FONTI

 

venerdì 6 giugno 2025

EFFETTI BARICI DEL VOLO SULLA RESPIRAZIONE

EFFETTI BARICI DEL VOLO SULLA RESPIRAZIONE Come la dimnuzione di pressione influisce sul nostro corpo
La saturazione di ossigeno nel sangue al livello del mare è del 98% e decresce se diminuisce la pressione dell'aria, se aumenta la quota (e quindi dimnuisce la pressione), a causa di avvelenamento da monossido di carbonio (CO). L'ipossia è una seria minaccia per la sicurezza del volo poiché i primi sintomi sono in genere difficili da riconoscere. L'aria che respiriamo La composizione dell'aria secca presente nell'atmosfera terrestre è una miscela costante di gas:
gaspercentuale
Azoto (N2)78,084%
Ossigeno (O2)20,9476%
Argon (Ar)0,934%
Biossido di carbonio (CO2)0,0314% (314 ppm)
Neon (Ne)1,818·10-3%
Elio (He)0,524·10-3%
La composizione dell'aria
Vi sono poi componenti che sono presenti in misura variabile:
  • Vapore acqueo (H2O), la cui quantità nell'aria è molto variabile e dipende fortemente dalla temperatura, in una percentuale media di 0,33% (variabile da circa 0% a 5-6%).
  • Metano (CH4): 0,2 ·10-3%
  • pulviscolo atmosferico: Clururo di Sodio (NaCl), Carbonio (C), e polveri che riveste particolare importanza nello sviluppo di molti fenomeni meteorologici.
Infine sono presenti tracce di:Neon (Ne), Idrogeno (H2), Kripton (Kr), Xeno (Xe), Ozono (O3), Ossidi di azoto (NO, NO2; N2O), Monossido di carbonio (CO), Ammoniaca (NH3), Biossido di zolfo (SO2), Solfuro di idrogeno (H2S). Per la Legge di Dalton, la pressione totale di una miscela di gas è la somma delle pressioni parziali dei singoli gas. Quindi per l'aria possiamo scrivere: P = PN2 + PO2 + PAr + PCO2 + ... Sappiamo che se aumenta la quota la pressione atmosferica (totale) diminuisce, secondo il Gradiente Barico Verticale, che in atmosfera standard è pari a -1 mbar/8 m (= -1 mbar/27 ft) e pertanto diminuisce anche la pressione parziale dell'ossigeno. D'altra parte, per la Legge di Henry sulla solubilità dei gas in un liquido, un gas che esercita una pressione sulla superficie di un liquido, vi entra in soluzione finché avrà raggiunto in quel liquido la stessa pressione che esercita sopra di esso.
La legge di Henry
Ciò significa che, a temperatura costante, la solubilità di un gas è direttamente proporzionale alla pressione che il gas esercita sulla soluzione. Pertanto ad ogni variazione di pressione del gas sulla soluzione consegue una variazione analoga della quantità di gas che entra nella soluzione. Se aumenta la quota, diminuisce la pressione parziale dell'ossigeno e pertanto diminuisce anche la quantità di ossigeno nel sangue.

A livello del mare, dove la pressione atmosferica è pari a 760 mmHg (= 1.013 mbar), la pressione parziale dell'ossigeno, che costituisce circa il 21% dell'aria è: 760·21% ≅ 160 mmHg (= 213 mbar) La pressione presente negli alveoli polmonari è minore di quella atmosferica e la pressione parziale dell'ossigeno quando si trasferisce al sangue, a livello del mare, è di circa 100 mmHg, mentre quella presente nel flusso sanguigno e di circa 40 mmHg. Si ha quindi una differenza di pressione di circa 60 mmHg, che rende possibile che l'ossigeno attraversi la membrana cellulare alveolo-capillare. Come detto sopra all'aumentare della quota la pressione atmosferica diminuisce e quindi diminuisce anche la pressione parziale dell'ossigeno, che rimarrà sempre il 21% del totale. Se si vuole mantenere costante la pressione parziale dell'ossigeno al valore presente al livello del mare, mentre aumenta la quota, si deve aumentare la percentuale di ossigeno presente nell'aria respirata, fino ad arrivare all'ossigeno puro (100%) quando si raggiunge la quota di 33.700 ft (circa 10.000 m). Ipossia La saturazione di ossigeno nel sangue (percentuale di emoglobina legata) al livello del mare è del 98% e decresce
  • se diminuisce la pressione dell'aria,
  • se aumenta la quota (e quindi dimnuisce al pressione)
  • a causa di avvelenamento da monossido di carbonio (CO), che si lega all'emoglobina al posto dell'ossigeno.
L'ipossia è la condizione che si verifica quando la concentrazione di ossigeno nel sangue è minore dei limiti normali oppure quando l'ossigeno disponibile per l'organismo non può essere utilizzato a causa di qualche patologia. In ogni caso le cellule dei tessuti del corpo hanno una carenza di ossigeno. è una seria minaccia per la sicurezza del volo poiché i primi sintomi sono in genere difficili da riconoscere. L'ipossia interferisce con le capacità di ragionamento e le funzioni percettive, rendendo il pilota incapace di riconoscere i sintomi e di reagire in tempo. Infatti la sua caratteristica più pericolosa è di manifestarsi inizialmente con un senso di benessere che può anche giungere a rendere il pilota euforico, appannandone le capacità di giudizio e valutazione e avviandolo inconsapevolmente verso la totale incapacità mentale e fisica. Sintomi dell'ipossia I sintomi dell'ipossia sono:
  • mancanza di respiro
  • apprensione
  • stanchezza
  • nausea
  • cefalea (mal di testa)
  • sensazione di leggerezza, capogiro, vertigine
  • vampate di calore o di freddo
  • euforia
  • offuscamento della vista e visione a tunnel
  • intorpidimento
  • formicolio
  • aumento del ritmo respiratorio (iperventilazione)
  • cianosi (colorazione bluastra della pelle, delle unghie e delle labbra)
  • riduzione della memoria a breve termine che rende difficoltosa l'esecuzione di sequenze di operazioni e l'apprendimento
  • attenuata capacità di giudizio
  • mutevolezza d'umore
  • menomazione del coordinamento muscolare
Tipi di ipossia La medicina individua vari tipi di ipossia a seconda delle condizioni che la causano. Quella che può insorgere nel volo ad alta quota viene detta ipossia ipossica. Si manifesta nelle situazioni in cui si abbia una diminuzione della pressione parziale dell'ossigeno negli alveoli polmonari (Legge di Dalton). Una persona sana in genere è capace di compensare una carenza di ossigeno fino a 10.000-12.000 ft, quote al di sotto della quale l'ipossia non si dovrebbe manifestare, respirando aria ambiente.
Comunque già 6.000-7.000 ft l'organismo umano comincia a fare fatica per compensare la diminuzione di ossigeno e a 8.000 ft la memoria a breve termine (STM) comincia a deteriorarsi.
La soglia critica senza pressurizzazione o ossigeno supplementare è 22.000 ft.
Come abbiamo visto sopra, respirare ossigeno puro (100%) a 38.000 ft equivale a respirare aria ambiente a 10.000 ft.
La tolleranza all'ipossia è diminuita dall'ipotermia, dalla stanchezza e dalla concentrazione continua. Gli altri tipi di ipossia, che possono concorrere a quella dovuta alla quota sono:
  • Ipossia anemica: è dovuta alla riduzione della capacità del sangue di portare ossigeno per una mancanza di emoglobina/globuli rossi a causa di anemia, emorragia, avvelenamento da CO. Il CO (monossido di carbonio) è un gas inodoro insaporo e incolore che entra in competizione con l'ossigeno nel combinarsi con l'emoglobina. Una breve esposizione ad una relativamente alta concentrazione di CO può colpire seriamente la capacità del pilota di operare sull'aereo. Sono necessari parecchi giorni per recuperare. Il CO è sempre presente nei gas di scarico del motore e nel fumo di sigaretta.
  • Ipossia stagnante: si manifesta quando si ha rallentamento del flusso sanguigno (insufficienza cardiaca, occlusione dei vasi sanguigni)
  • Ipossia istotossica: interferenza con la capacità delle cellule di utilizzare l'ossigeno (alcool, droghe).
è chiaro che, in mancanza di pressurizzazione o di impianto respiratorio ausiliario, per scongiurare gli effetti dell'ipossia è necessario diminuire rapidamente la quota di volo. Il tempo in cui è possibile permanere in uno stato ipossico prima di perdere conoscenza prende il nome di TUC (Time of Useful Consciousness)- tempo di coscienza utile e dipende dall'altitudine alla quale si vola.
Altitudine (ft)TUC (min)
25.0002
20.0005
18.0008
< 14.000illimitato
Iperventilazione polmonare È l'aumento del ritmo e della profondità della respirazione. Può essere la normale reazione al calo della pressione parziale di ossigeno, ad esempio scalando una montagna, oppure all'aumento del livello di anidride carbonica (CO2) nel sangue, ad esempio, correndo. Ma può manifestarsi durante il volo a causa di tensione emozionale, ansietà, apprensione. L'effetto è un'eccessiva e forzata asportazione dell'anidride carbonica (con conseguente diminuzione di acidità ematica) prodotta dai tessuti durante la combustione interna che fornisce energia, alla cui quantità reagisce il centro cerebrale preposto al controllo della respirazione. Può produrre i seguenti sintomi:
  • capogiri e stordimento
  • disturbi alla vista
  • sensazione di forte calore
  • ansietà
  • nausea
  • formicolio alle dita sia delle mani sia dei piedi
  • aumento dei battiti cardiaci
  • spasmi muscolari
  • perdita di conoscenza
Un buon sistema per rimettersi da uno stato di iperventilazione è quello di reinspirare l'aria espirata, respirando in un sacchetto di plastica o di carta da tenere sul volto. In tal modo si reintroduce nei polmoni anche la CO2 e si riporta in equilibrio l'acidità del sangue, fondamentale per facilitare lo scambio gassoso.
FONTI springwise.com www.news-medical.net

 

martedì 3 giugno 2025

IL CODICE Q

IL CODICE Q
Il codice Q è un elenco di messaggi standardizzati codificati con simboli di tre lettere che iniziano tutti con la lettera Q, che sintetizzano una domanda o una risposta dettagliata. Sviluppato inizialmente per le comunicazioni commerciali via telegrafo, che avvenivano unicamente in codice Morse, successivamente la ITU (International Telecommunication Union) lo ha adottato in tutto il mondo nelle telecomunicazioni via radio terrestri, marittime ed aeronautiche, per la sua concisione e per standardizzare le comunicazioni.. In particolare viene utilizzato dai radioamatori che utilizzano i codici nei loro collegamenti.
Il codice Q fu creato nel 1909 dal governo britannico come una lista di abbreviazioni ad uso delle navi inglesi e delle stazioni costiere, autorizzato dal Ministero delle Poste, con lo scopo di facilitare le comunicazioni tra gli operatori radio marittimi che parlavano lingue diverse e fu presto adottato internazionalmente.
Fu internazionalmente istituito alla 3ª Convenzione Radiotelegrafica Internazionale tenutasi a Londra nel 1912, come mezzo per creare una "stenografia" da utilizzare con il codice Morse. La Convenzione fu sottoscritta il 5 Luglio 1912 e divenne effettiva il 1 Luglio 1913. Un totale di 45 simboli Q apparvero nella "List of Abbreviations to be used in Radio Communications").
A ciascun simbolo del codice era assegnato un significato specifico che rimaneva lo stesso indipendentemente dalla lingua parlata da entrambi gli operatori, superando così nettamente il problema delle comunicazioni sui servizi internazionali. Il successivo passaggio alla comunicazione vocale tramite radiotelefono HF e VHF rese necessaria l'adozione dell'inglese come lingua internazionale dell'aviazione. Col passare degli anni al Codice Q originale furono apportate modifiche che riflettevano gli sviluppi nella tecnica delle radiocomunicazione.
Nel Post Office Handbook for Radio Operators degli anni ’70, compariva una lista di oltre un centinaio di simboli Q che coprivano soggetti come la meteorologia, la radiogoniometria, le procedure radio, la ricerca e soccorso, ecc.
I simboli el codice Q sono suddivisi in quattro gruppi:
  1. I simboli da QAA a QNZ compreso sono riservati per uso aeronautico. Sono stati definiti dalla International Civil Aviation Organization (ICAO): Doc 6100-COM/504/1 nel 1948 e Doc8400-4 (4ª edizione 1989).
  2. I simboli da QOA a QQZ sono riservati per uso marittimo.
  3. Mentre i simboli da QRA a QUZ compreso sono utilizzate per tutti i tipi di comunicazioni: Appendice 9 del Radio Regulations Annex alla International Telecommunications Convention (Atlantic City) 1947.
  4. Infine i simboli da QZA a QZZ sono riservati ad altri utilizzi.
Alcuni simboli del codice Q hanno senso anche da soli, altri devono essere seguiti da altre informazioni, secondo il significato di ogni codice, quali nominativi di chiamata, nomi di luoghi, cifre, ecc.
Alcuni simboli non esistono e alcuni sono ormai obsoleti o non vengono più utilizzati.
I simboli del codice Q rappresentano una domanda quando sono seguite dal punto interrogativo. Se il simbolo ha delle informazioni aggiuntive, il punto interrogativo deve seguire queste ultime.
I simboli del codice Q a cui può essere dato un senso affermativo o negativo devono essere seguiti immediatamente da AFFERMATIVO (YES) nel caso affermativo oppure NEGATIVO (NO) nel caso opposto.
Gli orari devono essere dati con riferimento all’UTC (Coordinated Universal Time), a meno che non sia indicato diversamente nella domanda o nella risposta.
Per evitare confusione, spesso è vietato assegnare alle stazioni di trasmissione nominativi che iniziano per Q o che contengono una sequenza di tre lettere che inizia per Q.
Il codice Q in aviazione In aviazione, i simboli del codice Q (da QAA a QNZ compreso) vengono utilizzati per trasmettere messaggi operativi specifici in modo conciso e standardizzato, in particolare durante le comunicazioni radio tra piloti, controllori del traffico aereo e personale di terra, per migliorarne l'efficienza e la precisione. Il codice Q fornisce un metodo standardizzato per trasmettere informazioni, assicurando chiarezza, coerenza ed efficienza nelle comunicazioni radio tra aeromobili e strutture di controllo del traffico aereo (ATC). Inoltre, con una vasta gamma di simboli che coprono vari scenari operativi, tra cui condizioni meteorologiche, operazioni di volo, procedure di navigazione, equipaggiamento aeronautico e situazioni di emergenza, il codice Q consentono ai piloti e ai controllori del traffico aereo di trasmettere messaggi complessi in modo conciso, riducendo il rischio di interpretazioni errate o confusione. Infine il codice Q è riconosciuto a livello internazionale e utilizzato nei settori dell'aviazione in tutto il mondo, facilitando una comunicazione fluida tra aeromobili e stazioni di terra indipendentemente dalla lingua o dai confini geografici. Come già detto, ogni simbolo del codice Q è composto dalla lettera "Q" seguita da una combinazione di due lettere, che rappresenta una domanda, una risposta o un'intenzione a seconda della direzione della comunicazione. Ad esempio, QAA (il primo simbolo della sezione aeronautica del codice), come domanda dalla stazione di terra all'aereo, QAA significa "A che ora pensi di arrivare?" Come risposta, o come dichiarazione di intenzione dall'aereo alla stazione di terra, QAA significa "Penso di arrivare alle ...". Altro esempio, "QNH", come domanda del pilota alla stazione di terra significa “Quale pressione devo impostare nella finestrella di regolaggio dell'altimetro per leggere la mia altitudine riferita al livello del mare?” Come risposta la stazione di terra riferisce il dato al pilota. FONTI kloth.net Globe Air Airways Museum

 

sabato 31 maggio 2025

LA MANUTENZIONE AERONAUTICA

LA MANUTENZIONE AERONAUTICA PM vs RCM
La manutenzione non è intrinsecamente una cosa buona, come l'esercizio fisico;
è un male necessario, come un intervento chirurgico.
(Michael D. Bush - www.savvyaviator.com)
Manutenzione preventiva programmata ed effetto Waddington Lo scienziato britannico Conrad Hal Waddington (1905 - 1975) è stato un biologo dello sviluppo, paleontologo, genetista, embriologo e filosofo che ha gettato le basi per la biologia dei sistemi, l'epigenetica e la biologia evolutiva dello sviluppo.
Conrad H. Waddington nel 1947 Conrad H. Waddington nel 1947
Durante la seconda guerra mondiale la carriera di Waddington in biologia fu temporaneamente interrotta quando fu coinvolto nella ricerca operativa (branca della matematica che si occupa dell'ottimizzazione di processi decisionali) con la Royal Air Force e divenne consigliere scientifico del comandante in capo del Coastal Command (CC-ORS) dal 1944 al 1945. è in questo periodo che ha dato il suo contributo al mondo dell'aviazione. Il compito principale della squadra di scienziati di Waddington inizialmente era di consigliare su come combattere più efficacemente la minaccia dei sottomarini tedeschi. Svilupparono una serie di raccomandazioni sorprendenti che hanno sfidato la saggezza convenzionale militare. Ad esempio si accorsero che il colore migliore per rendere meno visibili gli aerei antisommergibile era il bianco e non il nero come si pensava,con un 30% di aumento degli affondamenti riusciti.
Consolidated B24 Liberator Consolidated B24 Liberator (RAF Coastal Command Service)
In seguito si occupò di quella che oggi chiameremmo "prontezza della forza" (combat readiness). Ci si rendeva conto che i bombardieri B-24 Liberator della RAF trascorrevano una quantità eccessiva di tempo in officina, sia per la manutenzione preventiva programmata, che per la soluzione di ciò che in gergo vengono detti "squawks": segnalazioni di problemi minori. Ciò comportava che solo circa la metà degli aerei disponibili erano effettivamente combat ready. Gli altri erano fermi a terra principalmente perchè erano sottoposti a manutenzione, sia programmata che non, o in attesa di personale di manutenzione o di pezzi di ricambio. Si era convinti che più manutenzione preventiva si fosse eseguita meno problemi si sarebbero verificati e potenziali problemi sarebbero stati individuati e risolti migliorando in tal modo l'efficienza della flotta. Ma Waddington e il suo team di ricerca operativa dimostrarono che ci si sbagliava. Raccolsero dati sulla manutenzione programmata e non programmata di questi velivoli e li analizzarono per capire come il numero di riparazioni non programmate variasse in funzione del tempo di volo e scoprirono qualcosa di inaspettato e significativo: gli interventi non programmati aumentavano bruscamente immediatamente dopo ogni evento di manutenzione programmato (dopo 50 ore di volo), per poi diminuire costantemente nel tempo fino al successivo evento di manutenzione programmata, dopo cui aumentavano di nuovo.
Effetto Wadddington nel RAF Coastal Command Effetto Wadddington nel RAF Coastal Command
La conclusione fu che la manutenzione programmata portava a un aumento dei guasti, probabilmente perchè andava ad interferire con una situazione relativamente soddisfacente. Inoltre non sembrava che il tasso di guasti ricominciasse ad aumentare dopo il periodo previsto prima della nuova manutenzione preventiva programmata. In altre parole, il modello osservato mostrava che la manutenzione programmata stava effettivamente portando più danni che benefici e che l'intervallo di 50 ore di volo era inadeguatamente breve. La soluzione proposta dal team di Waddington, e alla fine accettata dalla RAF, fu lo sviluppo di un programma di manutenzione migliorato che aumentava l'intervallo di tempo tra gli eventi di manutenzione preventiva, eliminava gli interventi che non era dimostrato essere vantaggiosi, migliorava la programmazione del personale di manutenzione e aveva creato una guida e una documentazione per manutenzioni migliori e più chiare. Una volta implementate queste raccomandazioni, il numero di ore di volo effettive della flotta di bombardieri del British Coastal Command aumentò di oltre il 60%.
Manutenzione incentrata sull'affidabilità Due decenni dopo, negli anni '60, altri due scienziati di talento, l'ingegnere aeronautico Stanley Nowlan e il matematico Howard Heap della United Airlines, riscoprirono questi stessi principi nel loro lavoro sulla manutenzione incentrata sull'affidabilità (RCM: Reliability-Centered Maintenance) che ha cambiato il modo in cui la manutenzione viene eseguita nel trasporto aereo, aviazione militare, aviazione generale (AG) di fascia alta e numerose applicazioni industriali al di fuori dell'aviazione: la strategia ottima per la maggior parte dei componenti di aereo è semplicemente quella di lasciarli stare, aspettare finchè si guastano e quindi sostituirli o ripararli quando ciò accade. Ironia della sorte, Nowlan e Heap erano quasi certamente all'oscuro del lavoro svolto da H.C. Waddington e dai suoi colleghi del British Coastal Command Operational Research Section, perchè i documenti sui loro studi era riservato e rimase così fino al 1973, quando il diario meticolosamente tenuto da Waddington delle sue attività di ricerca in tempo di guerra fu declassificato e pubblicato con il titolo Operational Research in World War II da Elek Science. Alla base della tradizionale manutenzione preventiva programmata c'è il principio fondamentale che l'affidabilità dei componenti va diminuendo col passare del tempo a causa dell'usura. Pertanto più frequentemente i componenti vengono revisionati meglio sono protetti dalla probabilità di guasto. Il problema che si presenta è stabilire quale limite di età sia necessario per garantire un funzionamento affidabile. Con metodi statistici si può stabilire la vita utile dei componenti, che possono quindi essere cambiati o revisionati prima che si guastino.
PM Manutenzione preventiva (PM): il componente è affidabile inizialmente ma da un certo momento diventa inaffidabile
Nel settore dell'aeronautica inoltre si riteneva che tutti i problemi di affidabilità fossero direttamente correlati alla sicurezza operativa del velivolo. Col passare del tempo ci si rese conto che, contrariamente a quanto ci si potesse aspettare, per molti elementi la probabilità di guasto non aumentava con l'età. Esistevano molti tipi di guasti imprevedibili, indipendentemente dall'intensa attività di manutenzione. Come soluzione di questo problema i progettisti aeronautici adottarono la strategia della ridondanza dei sistemi, che assicura, in caso di guasto, che la funzione necessaria sia ancora garantita da qualche altra fonte. Pertanto, la scelta di eseguire manutenzioni basate esclusivamente su qualche durata operativa massima avrebbe avuto un effetto scarso o nullo sul tasso di guasto. L'approccio innovativo di Nowlan e Heap si basava su una rigorosa tecnica ingegneristica per la creazione di programmi di manutenzione ottimali mirati a massimizzare la sicurezza e l'affidabilità, minimizzando i costi e i tempi di fermo macchina.
Schemi di guasto di nolan e Heap I sei schemi di guasto identificati da Nowlan e Heap:solo il 2% dei componenti dei velivoli presenta guasti prevalentemente legati all'età (schema B) mentre il 68% ha guasti principalmente dovuti a mortalità infantile (schema F).
Uno degli obiettivi principali della manutenzione incentrata sull'affidabilità è identificare i modi in cui i vari componenti si rompono e quindi valutare la frequenza e le sequenze di tali guasti. Si scoprì che mentre alcune modalità di guasto hanno gravi conseguenze che possono compromettere la sicurezza, la stragrande maggioranza dei guasti dei componenti non ha alcun impatto sulla sicurezza e hanno conseguenze che sono abbastanza accettabili. Secondo la filosofia RCM la strategia di manutenzione ottimale per tali componenti è di non toccarli, attendere fino a quando si rompono e poi sostituirli o ripararli (run to failure). Il lavoro di Nowlan e Heap rivoluzionò le pratiche di manutenzione nel settore dell'industria aeronautica. La stragrande maggioranza dei tempi tra revisioni (TBO: Time Between Overhaul) e i limiti di vita dei componenti furono abbandonati a favore di un approccio basato sul monitoraggio delle condizioni effettive dei motori e di altri componenti e tenendoli in servizio fino a che le loro condizioni degradavano in modo inaccettabile. La quantità di manutenzione programmata è stata drasticamente ridotta. Possiamo concludere che i risultati delle ricerche di Nowlan e Heap si possono applicare anche agli aerei di AG gestiti in proprio, includendo il VDS. La maggior parte dei componenti dei velivoli non sono critici per la sicurezza e devono essere fatti funzionare fino a rottura. La maggior parte dei componenti critici per la sicurezza hanno più probabilità di guastarsi quando sono nuovi rispetto a quando sono vecchi e dovrebbero subire la manutenzione rigorosamente "on-condition", non secondo un calendario fisso.
La TBO del motore a pistoni Proprio il settore dell'AG e del VDS, in particolare i velivoli alimentati a pistoni, ancora oggi fa manutenzione preventiva programmata nel vecchio stile, basandosi su scadenze calendariali piuttosto che sul monitoraggio delle condizioni. La maggior parte dei proprietari di velivoli AG/VDS a pistoni fanno revisionare i loro motori alla TBO, e così pure revisionano le eliche e sostituiscono i loro alternatori, le pompe per vuoto, i bulloni dell'ala, le batterie a scadenze fisse senza motivo, se non perchè è prescritto nei manuali di manutenzione dei costruttori.
Motore Lycoming IO-320 Motore Rotax 912 ULS Motore Lycoming IO-320 (sinistra) e Motore Rotax 912 ULS (destra)
Nè i costruttori nè i manutentori sono propensi al cambiamento, sia per evitare problemi di responsabilità, anche legali, sia perchè tutta questa manutenzione preventiva controproducente, inutile e dispendiosa è per loro fonte di guadagno. Dato che i costi sono sostenuti dai proprietari degli aerei, sono questi che dovrebbero fare pressioni sui costruttori e sui manutentori affinchè le cose cambino. I costruttori dei motori hanno costantemente rifiutato di rilasciare dati sulla storia dei guasti dei motori e, analogamente, hanno costantemente rifiutato di spiegare come arrivano a definire le TBO che pubblicano. Nel 2007 l'ingegnere meccanico, nonchè pilota, Nathan T. Ulrich ha consultato il database degli incidenti del National Transportation Safety Board (NTSB) e analizzato i dati sugli incidenti accaduti nel periodo 2001-2005 incluso, limitandosi a quelli che avevano coinvolto piccoli velivoli, con un peso lordo inferiore a 5.400 kg, con motore a pistoni, per i quali la possibile causa (o fattore contribuente) era stata identificata in un "guasto del motore", escludendo gli incidenti di aeroplani per competizioni aeree e per applicazioni agricole. Analizzò la relazione tra la frequenza degli incidenti da avaria al motore e il numero di ore su ciascun motore dall'ultima volta che era stato costruito, ricostruito o revisionato. Ottenne i seguenti grafici, molto simili a quelli determinati da Waddington nel 1943.
Diagrammi elaborati da Ulrich nel 2007 Diagrammi elaborati da Ulrich nel 2007 Diagrammi elaborati da Ulrich nel 2007 su dati NTSB relativi al periodo 2001-2005
I pochi incidenti per avaria al motore, quando questo sia stato oltre la TBO in modo significativo è dovuto anche al fatto che la maggior parte dei motori dei velivoli a pistoni viene volontariamente sottoposta a eutanasia quando si arriva alla TBO o si è prossimi ad essa. Quindi questi dati sono poco interessanti. Molto interessante è invece il numero di incidenti dovuti a "mortalità infantile" durante i primi anni e le prime centinaia di ore dopo che un motore è stato costruito, ricostruito o revisionato, mostrando che è molto più probabile avere un serio guasto quando il motore è nuovo e non quando è vecchio. Questa analisi porta alla conclusione che, quando il motore raggiunge la TBO, ma continua a dare tutte le indicazioni di essere sano, con buone prestazioni, non produce metallo, presenta analisi dell'olio e risultati boroscopici decenti, ecc., la revisione degraderà la sicurezza, non la migliorerà. Questo semplicemente perchè trasformerà un "vecchio" motore a basso rischio in un motore nuovo ad alto rischio. La vita di un motore non è strettamente correlata col numero di ore in cui ha lavorato, lo è invece all'esposizione ad ambienti corrosivi (come ad esempio l'aria salmastra costiera) durante i periodi di inutilizzo oppure al cattivo utilizzo del pilota (in particolare gli avviamenti a freddo e la gestione impropria del propulsore). Nessuno di questi fattori si riflette nella TBO pubblicata dal costruttore. C'è una bella differenza tra un motore di un aereo che passa le notti picchettato all'aperto e uno hangarato oppure tra quello di un aereo che vola 400 ore all'anno e quello che vola 40 ore all'anno oppure tra quello che vola per la maggior parte su missioni di lunga distanza e quello di un aereo usato principalmente per l'addestramento in volo. Non dovrebbero avere tutti la stessa TBO. La contro-argomentazione di manutentori e costruttori di motori è che i dati sull'affidabilità dei motori che hanno superato la TBO sono troppo scarsi per essere certi che sia sicuro farli funzionare oltre la scadenza. Può anche essere vero, ma per raccogliere dati significativi sui guasti si deve consentire alle apparecchiature di guastarsi. Sposiamo la strategia della RCM. Ma ora la domanda è: una volta raggiunta la TBO come possiamo valutare se un motore aeronautico a pistoni continua ad essere aeronavigabile e quando è il momento di fare una revisione on-condition? I test di compressione e il consumo di olio sono utili indicatori ma da soli hanno poca correlazione con la reale aeronavigabilità del motore. Altri indicatori sono molto più decisivi: residui metallici nell'olio, crepe nelle testate del cilindro o nel basamento, perdite di scarico, perdite di carburante o gravi perdite d'olio. Ancora più importante, il motore sembra funzionare in modo irregolare o non riesce a raggiungere la piena potenza nominale? Se questi indicatori sono buoni, allora possiamo essere ragionevolmente sicuri che il nostro motore sia aeronavigabile e possiamo volarci con la meritata fiducia. C'è una molteplicità di strumenti con cui monitorare i parametri del motore e lasciare che sia il motore stesso a dirci quando la manutenzione on-condition è necessaria:
  • Ispezione visiva del filtro dell'olio
  • Microscopia elettronica a scansione di filtri olio (SEM)
  • Programmi di analisi dell'olio spettrografico (SOAP)
  • Analisi Digitali dei dati di monitoraggio del motore
  • Ispezione col boroscopio
  • Test di compressione differenziale
  • Ispezione visiva del basamento
  • Ispezione visiva della testata
  • Analisi dell'andamento del consumo di olio
  • Analisi dell'andamento della pressione dell'olio
Se utilizziamo questi strumenti con una opportuna frequenza e impariamo come interpretare i risultati, possiamo essere certi di sapere se il motore è in buone condizioni o meno e, in caso contrario, che tipo di intervento di manutenzione è necessario per tenerlo in salute.
Quando si vogliono prendere decisioni di manutenzione on-condition è indispensabile utilizzare questi strumenti, tutti quanti, e prestare attenzione ai risultati che forniscono. Purtroppo, molti proprietari e meccanici non capiscono come usare questi strumenti in modo appropriato o come interpretare i risultati in modo corretto. Se non si dispone di un sistema di monitoraggio digitale del motore (EMS: Engine Monitoring System), che registra i segnali vitali del motore oppure se non si è in grado di analizzare i dati di monitoraggio, si è seriamente limitati.
EMS (Engine Monitoring System) per motori ROTAX EMS (Engine Monitoring System) per motori ROTAX.
È importante che i dati di monitoraggio del motore siano acquisiti in volo. Solo i problemi più gravi e più evidenti, come una perdita d'olio o un magnete fulminato, possono essere diagnosticati nell'hangar di manutenzione o durante i rullaggi a terra. Il più delle volte, la responsabilità di raccogliere i dati necessari per diagnosticare accuratamente il problema ricadrà molto probabilmente sul pilota e non sul meccanico. Piaccia o no, il pilota deve diventare un pilota collaudatore.
FONTI The Waddington Effect - by Michael (Mike) D. Bush
www.savvyaviator.com
Manifesto (A revolutionary approach to General Aviation Maintenance) - by Michael (Mike) D. Bush Roots of Reliability-Centered Maintenance - by Stanley Nowlan - Howard Heapo Basics of Failure - by Bill Keeter

 

giovedì 22 maggio 2025

LA DENSITY ALTITUDE

LA DENSITY ALTITUDE Le prestazioni di un aereo dipendono dalla Density Altitude.
Come mai con temperature elevate e/o condizioni di bassa pressione le prestazioni di un aereo si degradano rispetto a quelle indicate nel Manuale di Volo?
Le prestazioni di un aereo sono gli spazi necessari per il decollo e l'atterraggio, il rateo col quale è in grado di salire, la quota che può essere raggiunta, la velocità anemometrica con cui può volare e il consumo di carburante. Tali parametri vengono riportati sul Manuali di Volo di un aereo, facendo riferimento alle condizioni di atmosfera standard internazionale al livello del mare (cioè temperatura di 15 °C e pressione di 1013,25 mb).?
Un aereo non avrà le prestazioni indicate nel Manuale di Volo, se le condizioni non sono le stesse con le quali sono state determinate.
Atmosfera standard Tipo ICAO L'atmosfera standard internazionale (ISA: International Standard Atmosphere) è un modello atmosferico di come pressione, temperatura, densità e viscosità dell'atmosfera terrestre variano in un'ampia gamma di altitudini o elevazioni. è stata definita dall'ISO (International Standardization Organization), l'organismo che si occupa di standardizzazioni a livello internazionale, per fornire un riferimento comune per temperatura e pressione e consiste di tabelle di valori a varie quote, più alcuni formule da cui derivano tali valori. L'ICAO (International Civil Aviation Organization), come altri organismi di normalizzazione, definiscono estensioni o sottoinsiemi dello stesso modello atmosferico.
International Civil Aviation Organization
L'atmosfera standard Tipo ICAO indica i seguenti valori:

ParametroValore
Pressione atmosferica MSL:p0 = 1013,25 hPa = 760 mmHg = 29.92 inHg
Temperatura MSL:T0 = 15 °C (288,16 K)
Densità MSL:ρ0 = 1,225 Kg/m3
Quota della Tropopausa:htp = 11.000 m (36.089 ft)
Gradiente termico verticale:GTV = -6,5 °C/Km = circa -2 °C/1000 ft (*)
Gradiente Barico Verticale:GBV = 1 hPa ogni 27 ft
Umidità relativa dell'aria:U% = 0 (aria secca)

(*)costante fino alla tropopausa con temperatura di - 56,5 °C - nullo da 11.000 m a 20.000 m, irregolare da 20.000 m

Densità dell'aria L'aria può essere considerata, con buona approssimazione, un gas perfetto, pertanto possiamo considerare valida l'equazione di stato dei gas perfetti che può essere scritta nel modo seguente:
\rho=R\cdot \frac{p}{T}
ove:
  • ρ = densità
  • p = pressione
  • T= temperatura
  • R è una costante (costante dei gas perfetti)
Ciò vuol dire che un aumento della temperatura, ad esempio nelle ore centrali delle calde giornate estive, oppure una diminuzione della pressione atmosferica, ad esempio trovandosi ad una quota maggiore, provocano una diminuzione della densità dell'aria.
T\blacktriangle \Rightarrow \rho \blacktriangledown
p\blacktriangledown \Rightarrow \rho \blacktriangledown
Anche un aumento dell'umidità provoca una diminuzione della densità, seppure in misura molto minore. L'effetto dell'umidità influisce più sulla potenza del motore che sull'efficienza aerodinamica.
Definizioni di quota di volo Vi sono varie definizioni di quota che incontriamo nel mondo del volo e spesso vengono confuse.
  • La Indicated Altitude (altitudine indicata): è l'indicazione fornitaci dall'altimetro.
  • La True Altitude (altitudine vera): è la distanza verticale dal livello del mare (MSL).
  • L'Absolute Altitude (altitudine assoluta o altezza): è la distanza verticale rispetto al suolo (AGL).
  • La Pressure Altitude (altitudine di pressione o livello di volo): è la distanza verticale misurata a partire dalla superficie isobarica cui corrisponde un valore della pressione pari a 1013,25 mb (29,92 inHg).
Infine abbiamo la Density Altitude.
Le diverse definizioni di quota di volo
Density Altitude La Density Altitude (altitudine di densità) che è quella quota in cui la densità dell'aria è uguale alla densità dell'aria misurata nel luogo di osservazione se ci trovassimo in condizioni di atmosfera standard anzicheacute; in aria reale, ovvero è l'altitudine di pressione corretta per tener conto delle variazioni di temperatura non standard. La Density Altitude è un parametro molto importante percheacute; tiene conto del fatto che la densità dell'aria reale potrebbe essere (e in generale è) minore di quella prevista in atmosfera standard e ciò influisce negativamente sulle prestazioni di un aereo. Una Density Altitude alta significa trovarsi in condizioni di densità dell'aria minore di quella standard. Ciò comporta prestazioni aerodinamiche dell'aereo inferiori: distanza di decollo risulta maggiore, il rateo di salita più basso e anche lo spazio per l'atterraggio è più lungo. Sebbene la velocità indicata (IAS) rimanga la stessa, la velocità vera (TAS) aumenta. Inoltre si ha una riduzione della potenza disponibile del motore (in motori aspirati). Se, ad esempio, ci trovassimo su una pista con un'elevazione di 700 ft MSL e la Density Altitude fosse di 5.000 ft, le prestazioni del nostro aereo saranno quelle che avrebbe se l'elevazione della pista fosse 5.000 ft. Alta Density Altitude e alta umidità non sempre vanno di pari passo. Tuttavia se siamo in condizione di elevata umidità è opportuno considerare un deterioramento delle prestazioni dell'aereo in termini di distanza necessaria per il decollo e di rateo di salita. Per tutto questo il pilota dovrebbe determinare la Density Altitude e verificare i grafici delle prestazioni che sono riportati nel Manuale di Volo del suo aereo, oppure si può utilizzare il diagramma di Koch per determinare approssimativamente le correzioni di temperatura e altitudine per la distanza di decollo e il rateo di salita.
Come determinare la Density Altitude col regolo La density Altitude può essere facilmente ricavata tramite il regolo aeronautico. Esempio: Si veda l'immagine sottostante.
Supponiamo che la Pressure Altitude (QNE) sia di 3.000 ft, ricavabile settando l'altimentro sulla 1.013,25 hPa, e la temperatura dell'aria sia di 25 °C, misurabile tramite il termometro di bordo.
Allora nel regolo aeronautico selezioniamo la Pressure Altitude (QNE) 3.000 ft nella finestra in corrispondenza della temperatura dell'aria (True Air Temperature) di 25 °C.
Possiamo leggere la Density Altitude, che in questo caso è 5.000 ft, in corrispondenza della freccia nella finestra della Density Altitude.

 

mercoledì 21 maggio 2025

PARKE'S DIVE

PARKE'S DIVE Recupero da una vite involontaria
Fred Ryanham
Il primo recupero riuscito da una vite
Fred Raynham
Era il 21 settembre 1911. Il pilota collaudatore della Avro, Frederick Phillips Raynham (1893–1954) stava volando a 1.500 piedi (457 m) con un biplano Avro quando entrò in quella che lui chiamò una "spiral dive" (picchiata a spirale). Si spaventò tantissimo perchè la macchina entrò in una picchiata quasi verticale, posizione in cui descrisse due rivoluzioni complete. Poi però riuscì a tornare in volo livellato a 500 piedi (152 m). Raynham non aveva idea di cosa avesse fatto per riprendersi dalla situazione, ma era certamente contento di essere il primo pilota nella storia documentata a sopravvivere e a poterla raccontare. Sebbene l'esperienza di Raynham sia passata alla tradizione aeronautica come il primo recupero riuscito da una vite, quando si analizzano i fatti del caso, inizia ad apparire improbabile che si sia trattato effettivamente di una vite. Per cominciare, aveva la potenza per tutto il tempo e non menzionò mai di essere entrato in stallo in picchiata; inoltre, due giri di vite in un primo biplano Avro difficilmente avrebbero fatto perdere 1000 piedi di altitudine.
Wilfred Parke
Wilfred Parke
Molto più significativa fu l'esperienza del ventiduenne tenente di marina Wilfred Parke, RN (Royal Navy), il 25 agosto 1912, quando entrò in una vite sinistrorsa col suo Avro G, un biplano in legno e rinforzi in filo metallico, durante la British Military Aeroplane Competition, organizzata dal neonato Royal Flying Corps, a Salisbury Plain presso il Larkhill Aerodrome.
Probabilmente dovette la sua sopravvivenza tanto alla fortuna quanto alle eccezionali capacità di volo.
Parke era riuscito a racimolare i fondi per iscriversi alla scuola di volo fondata da Alliott Verdon Roe, il primo britannico a volare, presso il famoso ippodromo di Brooklands.
Lì, il giorno dopo il suo primo volo nell'aprile del 1911, Parke andò in stallo e si schiantò contro il vicino impianto di depurazione, un rito di passaggio per molti novizi. I suoi superiori della Royal Navy consideravano frivole le attività aeree di Parke, ma dopo la formazione del Royal Flying Corps nel maggio 1912, completo di un'ala navale, i pezzi grossi cambiarono tono.
La personalità allegra di Parke lo rese popolare, e divenne noto per la sua disarmante franchezza riguardo alle carenze dei prototipi che collaudava. Il biplano Avro G, ad esempio, era una peculiare miscela di design lungimirante ed eccentrico. La sua cabina chiusa, molto insolita per l'epoca, prometteva comfort, ma con soli 27 pollici (68,5 cm) di larghezza era piuttosto stretta. Inoltre non c’era alcuna visibilità frontale, costringendo il pilota a sbirciare attraverso i finestrini laterali. Sulla barra che, tirandola o spingendola, permetteva il controllo longitudinale, aveva un volantino di controllo che permetteva la torsione delle ali.
Il biplano Avro G del Ten. Parke
Durante il suo volo del 25 agosto, Parke era stipato nella piccola cabina di pilotaggio con le gambe sollevate, come un vogatore in una barca da regata, poiché aveva un passeggero con funzioni di osservatore, il tenente Le Breton, seduto di fronte a lui.
Parke aveva quasi completato un test di resistenza di tre ore. Il volo faceva parte delle prime selezioni di aviazione militare della Gran Bretagna, il neonato Royal Flying Corps.
Dato che Parke riusciva a malapena a vedere il terreno decise di adottare un approccio insolito per l'atterraggio. Ridusse la manetta e iniziò una planata a spirale, con l'intenzione di atterrare controvento di fronte agli hangar di Larkhill. All'improvviso un'ala andò in stallo e Parke fu scaraventato in una vertiginosa discesa a cavatappi, la situazione più temuta dai piloti di quell'epoca: la vite, un fenomeno che a quei tempi era molto misterioso e mortale e colpiva senza preavviso e non aveva una cura nota. I piloti britannici la chiamavano "spiral dive" (picchiata a spirale), non "spin" (vite) come la si chiama attualmente. Dopo quella mattina di agosto, l'avrebbero conosciuta con un altro nome: "Parke’s Dive" (picchiata di Parke). Poiché l'Avro G era pesante sul muso, quando Parke fu gettato in una vite a sinistra, la sua prima reazione fu di aprire completamente la manetta, quindi tirare indietro con forza la cloche e torcere le ali nella direzione della vite. Questo era il metodo prescritto per riprendersi da una "side-slip" (scivolata laterale), ma era esattamente la manovra sbagliata per una vite, poiché serviva a stringere il cappio della spirale. Mentre una manciata di spettatori a Larkhill guardava inorridita, l'Avro scese vertiginosamente in spirale verso il suolo. Poi, a malapena a 50 piedi, Parke uscì miracolosamente dalla vite e atterrò sano e salvo, lasciando alcuni a chiedersi se l'intero incidente fosse stato un'abile trovata.Tra i testimoni c'era A. E. Berriman, direttore della rivista Flight, che nell’edizione del 31 agosto scrisse la storia del Parke’s Dive in un lungo articolo. Includeva una descrizione dettagliata di come Parke era riuscito a riprendersi, raccontata a Berriman dal pilota subito dopo l'atterraggio, sollevato ma scosso (nel diario di bordo di Parke, concluse la sua annotazione del 25 agosto con "esperienza orribile"). La storia della vite ci racconta quanto poco si sapesse sui fondamenti del volo e di quale straordinaria forza d'animo fosse richiesta ai pionieri di un secolo fa. Ma come fece esattamente Parke a tirarsi fuori dal baratro in quel fatidico giorno dell'agosto 1912?
Come sopravvivere alla vite
Articolo di Flight 31/08/1912
Ecco un estratto dal racconto del testimone oculare che fu pubblicato su Flight sotto il titolo "Parke's Dive": "... La macchina iniziò immediatamente una spirale in picchiata.
Al punto C, Parke diede tutta manetta, nella speranza che l'elica potesse sollevare il muso, perché era consapevole che la macchina era leggermente sbilanciata sul muso con la manetta chiusa. Il motore rispose immediatamente, ma non riuscì a produrre l'effetto desiderato sulla macchina; potrebbe aver accelerato o meno la discesa, ma la caduta era già così rapida che era improbabile che la velocità massima con motore al massimo potesse persino essere uguale.
Sempre al punto C, tirò la barra dell'elevatore con forza contro il petto e mise il timone completamente a sinistra con il piede in modo da girare la macchina verso l'interno, quest'ultimo essendo l'azione che è accettata come appropriata in casi di imminente side-slip (scivolata laterale) e, quindi, naturalmente da provare in un'emergenza come questa. La torsione delle ali era normale, ovvero bilanciata, con il volantino di controllo in posizione neutra. Queste operazioni non riuscirono affatto a migliorare le condizioni.
Secondo Parke, l'angolo era molto ripido, ma certamente non verticale; non notò alcuno sforzo particolare sulle gambe, con le quali teneva ancora il timone circa a metà a sinistra (più o meno quanto si usa normalmente per una virata), né sul petto, attraverso il quale era legato al sedile da una larga cintura. Aveva già rimosso la mano destra dal volantino di controllo per stabilizzarsi, afferrando un montante della fusoliera. Fece questo, non per sostenersi contro la pendenza della discesa, ma perché si sentiva scaraventato verso l'esterno dal moto a spirale della macchina, che descrisse come "violento". L'assenza di pressione sulle gambe e sulle braccia sembrava, tuttavia, la prova che la macchina stava cadendo velocemente quanto il pilota, che era, quindi, instabile sul suo sedile e senza un fulcro finché non si era assicurato alla struttura con la presa della sua mano.
Capire, attraverso questo effetto forzato, l'influenza predominante del moto a spirale, distinto dalla picchiata, gli fece allentare il timone e infine spingerlo con forza verso destra (cioè per girare la macchina verso l'esterno del cerchio), come ultima risorsa, quando era a circa 50 piedi da terra.
Immediatamente, ma senza alcun sussulto, la macchina si raddrizzò e si appiattì, riprese subito il controllo e, senza affondare sensibilmente, volò via in perfetto assetto. Parke fece un giro dei capannoni per mettersi in posizione per l'atterraggio in un buon posto controvento, e procedette ad atterrare nel solito modo senza il minimo incidente.
Il fatto che abbia mantenuto la sua presenza di spirito dall'inizio alla fine nell'emergenza - sebbene fosse certamente terribilmente allarmato - così da essere consapevole di ogni operazione e dell'effetto prodotto, serve a dare al mondo dell'aviazione almeno un'esperienza definita di estrema importanza per il pilotaggio."
Parke sopravvisse solo perché, a pochi secondi dal disastro, gettò l'intuito al vento. Mentre la forza centrifuga sballottava il suo compagno di volo Le Breton senza cintura davanti a lui, Parke afferrò un montante della fusoliera per stabilizzarsi, e questo sembra avergli dato la disperata idea di provare a usare il timone completamente opposto a destra, contro la direzione della vite. La facilità con cui era uscito causò un'immediata sensazione quando atterrò. Geoffrey de Havilland era uno dei presenti che assistettero all'evento e, in una discussione sul posto convocata rapidamente con Parke, lui, Frank Shor (un altro pilota di punta) e Berriman (il reporter tecnico di Flight) intrapresero un'analisi approfondita dell'incidente e del suo esito positivo. Fondamentalmente, stabilirono una distinzione tra recupero dalla scivolata laterale (timone verso l'interno) e recupero dalla vite (timone verso l'esterno), notando che l'uso del timone da parte di Parke aveva contrastato il cuore del problema, il movimento a spirale, recuperando così una discesa uniforme da cui si otteneva facilmente un volo normale. Riconobbero che il timone completamente opposto aveva controllato il moto centrifugo della coda, accelerando al contempo l'ala interna, aggiungendo portanza e consentendo alla macchina di raddrizzarsi. Questa tecnica del timone opposto fu pubblicata affinché tutti potessero leggerla.
Il successivo rapporto del tenente Parke al Royal Aero Club Committee li spinse a suggerire ulteriori esperimenti: un primo tentativo in assoluto di indagare il fenomeno della vite. Tuttavia, come commentò la rivista Flight:
"Nessuno rischierà volontariamente di perdere il controllo della sua macchina a mezz'aria per dimostrare i fatti".
Solo nel 1916 si iniziò a fare una seria ricerca sulla vite, e solo dopo che era diventato una manovra ampiamente utilizzata. E da allora la vite è stata causa di più dissenso nei circoli aeronautici di qualsiasi altro singolo aspetto della gestione degli aerei!
Sembra esserci una paranoia universale sulla vite che è durata fino ad oggi e ha persino portato le autorità aeronautiche retrograde di diversi paesi a rimuoverlo dal programma di addestramento al volo per motivi di "sicurezza": escogitando così di perpetuare quella paura insensata di eseguire uno stallo in vite che avrebbe dovuto essere estinta da così tanti anni di familiarità.
La tecnica di recupero dalla vite divenne nota come "Parke's Dive" ma, stranamente, non fu insegnata agli studenti per diversi anni... potevano impararla chiacchierando con piloti più esperti... ma il consiglio standard era "non metterti in quella situazione!" Abbiamo parlato finora di recupero da viti involontarie; ma la fase successiva fondamentale nello stallo in vite era il suo avvio deliberato una volta che il recupero era assicurato. Stranamente, la tecnica salvavita scoperta da Parke rimase una curiosità che sembrava essere nota solo a pochissimi e non comparve mai in quei manuali di volo come quelli scritti negli anni precedenti la prima guerra mondiale. Lo stesso Parke morì tragicamente in un incidente poco dopo a causa dell'annosa situazione di tentare una virata a bassa quota con un motore in avaria; non fu quindi in grado di diffondere personalmente il vangelo che avrebbe potuto salvare così tante vite. L'articolo su Flight contribuì a trasformare l'incidente in una pietra miliare dell'aviazione: il primo caso ben documentato di un pilota che ha corretto con successo ed è sopravvissuto a una vite. Ma ci sarebbe voluto del tempo per assimilare le lezioni apprese dall'esperienza di Parke. Negli anni successivi, viti e stalli mortali causarono innumerevoli vittime sugli aerei dell'epoca, per lo più dotati di potenza insufficiente e instabili. Ma una manciata di fortunati aviatori ricordò di aver letto del Parke's Dive e delle azioni correttive che lo avevano salvato, e sopravvisse.
FONTI Flight Fantastic - by Annette Carson (1986) My Unofficial FAA History Page History.net (Spin control by Evan Hadingham) Airscape Mag Military-History Cambridge.org Wikipedia.org Early Aviators Brooklands Museum UK Airfield Guide A Fleeting Peace Chicagology Flying Machines.ru/ www.aahof.com.au/

 

venerdì 2 maggio 2025

ANNI '70: GLI ESORDI DEGLI ULTRALEGGERI MODERNI

ANNI '70: GLI ESORDI DEGLI ULTRALEGGERI MODERNI Cenni della storia del volo ultraleggero a motore
“Non volevo reinventare l'aeroplano, volevo solo volare per divertimento.”
(John moody)
Per ovvi motivi anagrafici, pochissimi appassionati di ultraleggeri di oggi comprendono veramente gli inizi unici dell'aviazione ultraleggera.
In Italia il volo ultraleggero nasce ufficialmente con la Legge 25 marzo1986 n. 106 (Disciplina del volo da diporto o sportivo).
L'ultima revisione del regolamento attuativo della Legge 106/86, il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 10 dicembre 2021 (Caratteristiche degli apparecchi per il volo da diporto o sportivo di cui all'allegato tecnico alla legge 25 marzo 1985, n. 106), stabilisce che un velivolo è considerato ultraleggero se al massimo è biposto, se il suo peso massimo al decollo non è superiore a 600 Kg (650 Kg se anfibio o idrovolante) e se ha una velocità di stallo non superiore a 45 kt (circa 83 Km/h).
Possiamo a buon diritto affermare che l’avventura umana del volo è nata con aerei ultraleggeri. Il Flyer 1 dei fratelli Orville e Wilbur Wright, che il 17/12/1903 compì il primo volo della storia, aveva un peso massimo al decollo di 338 Kg e una velocità di stallo sicuramente inferiore a 83 Km/h visto che la sua velocità massima era di appena 48 Km/h.
Il primo volo 17 dicembre 1903 (fotografia di John Daniels).
Anche gli aeroplani utilizzati dal pioniere brasiliano Alberto Santos-Dumont erano ultraleggeri. Ad esempio, il 14-bis del 1906 pesava circa 300 Kg, mentre il Demoiselle del 1908 pesava appena 143 Kg.
Il 14-bis (1906) e il Demoiselle (1908) di Alberto Santos-Dumon.
Perfino la famosa trasvolata della manica, del 25/07/1909, fu compiuta da Louis Blériot a bordo di un ultraleggero. Il suo aereo pesava infatti solo 300 Kg, con una velocità massima di 58 Km/h.
Blériot XI (1912).
Poi l’evoluzione tecnica, catalizzata dalle applicazioni militari della macchina volante, ha portato allo sviluppo si velivoli più grandi e più complessi, con prestazioni sempre più elevate, fino ad arrivare nei primi anni ’60 del secolo scorso, ad aerei come il Lockheed SR-71 Blackbird (in servizio dal 1966 al 1989), che aveva un peso massimo al decollo di 78 tonnellate con velocità di crociera di circa 3.500 Km/h. e una velocità di stallo di quasi 280 Km/h. Decisamente non era un ultraleggero!
Lockheed SR-71 Blackbird.
Ma parallelamente non si è mai del tutto sopita l’idea di velivoli economici, piccoli e facili da pilotare per un’aviazione più popolare.
Ad esempio, nel 1933 in Francia l’ingegnere Henri Mignet progettò l’HM14 Pou du Ciel (“Pulce del Cielo”), il primo di una serie di piccoli monoposto ultraleggeri.
HM14 e HM16 di Henri Mignet.
L'ala Rogallo La storia più recente dell’aviazione ultraleggera prende il via dall’idea dell’ingegnere della NACA (in seguito NASA) Francis Melvin Rogallo e sua moglie Gertrude, che nel 1948 misero a puto un'ala flessibile a delta adatta per planare a basse velocità (brevettata nel 1951). Era costituita da due vele in tessuto sostenute da tre tubi convergenti in un’unica cerniera.
Rappresentazione schematica di un’ala Rogallo.
La NACA valutò la possibilità di utilizzare l’ala Rogallo come sistema di recupero delle capsule spaziali Gemini al rientro dal volo spaziale.
Francis M. Rogallo con un modellino della sua ala. Capsula Gemini portata da una la Rogallo. Deltaplano del 1962.
Dall’ala Rogallo discende tutta la stirpe di deltaplani sia quelli per il volo libero, che quelli a cui è stato applicato un motore e un’elica.
Il primo progetto del deltaplano ad ala Rogallo, a metà degli anni ‘60.
Infatti anche se non venne mai utilizzata per il programma Gemini, l’ala Rogallo destò grandissimo interesse, soprattutto per la sua estrema semplicità e le industrie Ryan e North American ricevettero cospicui finanziamenti per la ricerca di sue applicazioni. In particolare la Ryan costruì nel 1961 il modello Flex Wings che può essere considerato il primo deltaplano a motore. Era costituito da un alla Rogallo montatta su una struttura di tubi metallici che alloggiava il pilota e sosteneva il motore.
Flex Wings nella galleria del vento (1961).
Ma tutti i tentativi di giungere ad una concreta applicazione dell'ala Rogallo si fermarono allo stadio di prototipo. L'ala Rogallo, con la sua estrema semplicità, stimolò tuttavia l'immaginazione degli appassionati di volo, che cominciarono a sfruttarla per costrure dei libratori. Erano nati i primi deltaplani. Inizialmente vennero utilizzati per eseguire voli vincolati. Per mezzo di una corda, l'ala veniva trainata da un motoscafo e permetteva a una persona di sollevarsi a qualche decina di metri di altezza. Da queste prime esperienze di volo vinvcolato all'idea di potersi lanciare da un pendio il passo è stato breve. Nacquerò così i primi rudimentali deltaplani. Ovunque temerari (incoscienti) appassionati con pochi dollari inseguivano il loro sogno di librarsi in aria.
John Moody e il suo Icarus II È stato a partire dalla seconda metà degli anni ’70 che alcuni arditi pionieri hanno reinventato, o riscoperto, il volo ultraleggero, spinti dal desiderio di volare in modo semplice, libero e a bassi costi. L’installazione di un piccolo motore su un deltaplano ha consentito di raggiungere l’ambito obiettivo. L’aeroplano ultraleggero è il primo velivolo che non sia nato per scopi commerciali o militari, ma semplicemente per diporto. Nei primi anni ’80, negli USA, furono venduti migliaia di questi apparecchi.
Accanto alla facilità di acquisto, molte sono state le caratteristiche che spiegano la popolarità che hanno conquistato gli ultraleggeri. Una è il puro e semplice piacere di volare in questo modo.
Il movimento dell'aviazione ultraleggera a motore negli Stati Uniti tuttavia non si sviluppò utilizzando l'ala Rogallo, ma un'intera serie libratori ad ala rigida, come, ad esempio il biplano rigido 'Icarus II progettato da Taras Kiceniuk Jr. Infatti, nell’inverno 1974-1975 John Moody, un ingegnere elettrotecnico, pilota di deltaplani del Wisconsin, costruì Il primo apparecchio ultraleggero moderno, installando un motore da go-kart da 12 CV sul suo libratore biplano Icarus II.
L'Icarus II modificato da John Moody (1975).
L'obiettivo di Moody ere solamente poter salire di quota aiutati dal motore, spegnerlo e volare come un semplice deltaplano librandosi e planando fino a quando voleva salire nuovamente. Era stato creato un nuovo tipo di velivolo. "Non volevo reinventare l'aeroplano, volevo solo volare per divertimento. Costruii un biplano nel 1973, ma ci volai pochissimo [con la tecnica del decollo dalla montagna]. In un anno e mezzo accumulai circa dieci minuti di volo, ma nel 1975 ero pronto. Equipaggiai il biplano con un motore da 10 CV; le mie gambe sarebbero state il carrello per il decollo. Era una giornata fredda e la sola superficie piana era un lago ghiacciato. Avviai il motore, sollevai il mezzo e corsi. In pochi metri ero in aria e volavo a pochi centimetri dal ghiaccio. Feci quattro voli e alla fine percorsi un miglio e mezzo sopra il lago. Fu il primo volo di successo con partenza dal suolo su un veleggiatore dotato di motore. Piú tardi portai la mia macchina su un aeroporto percorrendo il circuito a trecento piedi e atterrai. Il giorno successivo mi chiamò l'FAA (Federal Aviation Amministration). Volevano sapere se stavo volando su un aeroplano privo di licenza di volo. Gli dissi che era un "veleggiatore con motore"
I primi ultraleggeri Ben presto furono adattati motori ad altri tipi di pendolari. Un tentativo di questo genere dimostrò che il semplice fissaggio di un motorino a un libratore non era sufficiente per ottenere un aeroplano di successo.
L’esperimento venne effettuato su un’ala Rogallo. All’inizio il motore venne fissato al monaco delle ali Rogallo. Ma la linea di spinta (la direzione della propulsione) troppo alta si dimostrò disastrosa quando il pilota si veniva a trovare in situazione di zero-g. La linea di spinta così alta creava un momento picchiante che il pilota non era in grado di contrastare. In volo normale, quando l'ala è sottoposta a un un g positivo, uno spostamento del peso del pilota consente di controllare l'apparecchio, ma in condizioni di gravità zero è come se il pilota non avesse peso. Con il muso orientato verso il basso, la velatura cominciava ad orzare o a frullare e il mezzo era costretto a entrare in una picchiata inarrestabile o ad effettuare una gran volta inversa con probabilità di collasso strutturale. Questo pericoloso difetto venne corretto disponendo la linea di spinta più in basso. La disposizione più diffusa dei propulsore sull'ala Rogallo era costituita da un'elica spingente montata dietro la chiglia, che è il tubo centrale dell'ala.
Foot-Launched Powered Hang Glider - FLPHG (1975).
La disposizione più diffusa del propulsore sull’ala Rogallo era costituita da un’elica spingente montata dietro la chiglia (il tubo centrale dell’ala). L’impianto consisteva in un motore da go-kart posto sopra la testa del pilota e in un lungo albero montato parallelo alla chiglia. Lo stesso impianto poteva essere installato su quasi tutti i deltaplani ad ala flessibile. Un pendolare equipaggiato in tal modo veniva lanciato dal terreno pianeggiante a piedi, cioè da un pilota che teneva l’attrezzo sopra la testa correndo contro vento. Poiché la linea di spinta era sempre più alta del baricentro, il volo non era consigliabile in condizioni di turbolenza poiché il velivolo con il motore in moto tendeva a essere instabile longitudinalmente. Era però maneggevole in condizioni di calma di vento. Il motore era usato soprattutto per guadagnare quota e quindi proseguire in volo librato, anziché per volare a motore.
Il riduttore di giri di Slusarczyk Fino al 1977 la maggior parte degli aeroplani ultraleggeri riceveva la spinta da un motore da go-kart che azionava un’elica calettata direttamente sull’albero del motore stesso. La disposizione era semplice e meccanicamente affidabile. Tuttavia il motore aveva un numero di giri al minuto tanto alto che l’elica doveva essere piccolissima (circa 70 cm di diametro) per evitare che le estremità delle pale superassero la velocità del suono. In effetti l’elica ruotava a oltre 9.000 giri al minuto e l’estremità delle pale a velocità molto prossima a quella del suono, con il risultato che l’elica era estremamente rumorosa e il rendimento propulsivo appena del 50 per cento circa. Le prestazioni dei primi deltaplani a motore erano pertanto del tutto marginali: la velocità di crociera superava di poco la velocità di stallo e la velocità ascensionale non raggiungeva che un pericoloso valore di 30 m/min. Inoltre i motori avevano una vita breve a causa dell’elevata velocità di rotazione imposta dalla necessità di erogare una potenza sufficiente. Fu allora chiaro che l’aeroplano ultraleggero non avrebbe trovato un vasto pubblico di utenti fin quando non se ne fossero migliorate le prestazioni. Un intraprendente sperimentatore, Charles (“Chuck”) Slusarczyk, affrontò il problema della propulsione in modo scientifico. Tenuto conto del fatto che il rendimento dell’elica è più elevato quando le estremità delle pale si muovono a velocità decisamente inferiore a quella del suono, inventò un sistema di trasmissione con riduttore per i libratori a motore, sistema che e stato brevettato nel 1981.
Il riduttore di Slusarczyk.
La sua idea è stata quella di spostare un gran volume d’aria il più lentamente possibile attraverso il disco costituito dall’elica in rotazione, minimizzando nel contempo la resistenza aerodinamica dovuta alla comprimibilità che assorbe gran parte della potenza in prossimità della velocità del suono.
Il risultato costituì un buon miglioramento della spinta e del rendimento e da una decisa riduzione del rumore dell’elica. In pratica da allora tutti gli aeroplani ultraleggeri furono equipaggiati con un sistema di propulsione dotato di trasmissione con riduttore che assicura prestazioni superiori da parte di un piccolo motore. Un valore tipico ottenibile dalle quelle trasmissioni con riduttore era una spinta di 4,5 Kg/CV.
Slusarczyk aprì la porta a una propulsione per ultraleggeri più silenziosa e affidabile e pose fine all'era dei motori a trasmissione diretta che assordavano con le velocità supersoniche delle loro minuscole eliche di legno. I produttori temevano che Slusarczyk chiedesse ingenti diritti per usare la sua creazione, ma "Chuck", come lo chiamano alcuni amici, non ha mai fatto valere il brevetto. Ha sostanzialmente regalato una potenziale fortuna a beneficio della comunità degli ultraleggeri.
Il carrello di atterraggio Dopo poco tempo il motore da go-kart fu quasi ovunque sostituito dal motore per motoslitta, che ha una maggiore cilindrata e un minor numero di giri al minuto. Il motore venne messo a punto in modo diverso da quello per cui era progettato in origine, con un aumento della spinta, un miglioramento dell’affidabilità e un allungamento della vita di funzionamento. Di solito si riduceva la carburazione o si diminuiva la compressione; a volte si agiva su entrambe le caratteristiche. L’adozione di quest’ultimo motore portò ad un altro cambiamento, costituito dal carrello d’atterraggio a ruote. Un deltaplano con motore da go-kart a trasmissione diretta aveva un peso a vuoto di circa 45 Kg e poteva essere lanciato a piedi. Il motore per motoslitta, i componenti per la trasmissione con riduttore e i necessari rinforzi del telaio portavano il peso a vuoto ben oltre i 70 Kg, rendendo pericoloso il lancio a piedi. L’adozione del carrello d’atterraggio portò alla realizzazione di un aeroplano ultraleggero completo. Una volta accettato il principio del carrello di atterraggio, fu possibile progettare un mezzo ultraleggero intorno al sistema di propulsione, anziché fissare semplicemente un motore a un deltaplano. Ne è risultata una nuova generazione di progetti, la maggior parte dei quali ha sospinto la nuova aviazione lontano dalle sue origini che si trovano nel deltaplano a motore, orientandola verso il “piccolo aeroplano”. Evoluzione dei comadi di volo Anche i comandi di volo si sono perfezionati in modo significativo nel corso dei primi anni. Pendolari Nei primi ultraleggeri, realizzati semplicemente fissando un motore a un deltaplano, il controllo veniva nella maggiornaza dei casi realizzato dal pilota con il semplice spostamento del proprio peso (pendolari). Alcuni velivoli avevano anche qualche rudimentale comando aerodinamico, cioè superfici che il pilota poteva muovere per agire sull’imbardata, il rollio e il beccheggio.
I piloti di libratore trovavano questi semplici dispositivi più che sufficienti, ma coloro che erano addestrati a pilotare aerei normali li consideravano strani e sconcertanti. I progettisti di aeroplani ultraleggeri si resero ben presto conto del problema e iniziarono a sviluppare adeguati comandi aerodinamici. Già dai primi anni '80 era abbastanza inconsueto trovare un aeroplano ultraleggero la cui condotta dipendesse in qualche modo dallo spostamento del peso del pilota.
L'ultraleggero biplano a motore Icarus II di John Moody era dotato di un sistema ibrido di comando derivante dal modo nel quale il velivolo era controllato prima che Moody pensasse all’aggiunta di un motore.
Il pilota, che era sospeso da una imbracatura in posizione prona, controllava il movimento intorno all'asse di beccheggio, e quindi la velocità, muovendosi in avanti e all'indietro. Aveva però annche la possibilità di muovere i timoni montatti all'estremità delle ali per imbardare il mezzo, generando in questo modo un rollio indotto. Le ali interne che arretravano a causa dell'imbardata, perdevano velocità, quindi portanza, e tendevano a scendere, mentre le ali esterne aumentavano velocità e portanza e tendevano a salire. Ciò generava un rollio che innescava la virata.
La simultanea deflessione di entrambi i timoni all'estremità delle ali aumenta la resistenza all'avanzamento, consentendo di controllare la traiettoria di planata.
Un altro sistema ibrido è stato usato nel Quicksilver, che apparve originariamente quale deltaplano all'inizio degli anni settanta.
Il pilota era seduto su una specie di altalena e poteva così spostare il proprio peso lateralmente, in avanti e in indietro. Per aumentare la capacità di far virare il mezzo apposite sagole collegavano l'imbracatura con il timone di modo che uno spostamento laterale del pilota faceva ruotare il timone determinando un'imbardata e quindi un moto di rollio. Il sistema funzionava, ma era pur sempre basato su uno spostamento di peso e i piloti dotati di brevetto non l'accettarono.
Ultaleggeri a 2 assi Un grosso progresso nei sistemi di comando fece la sua comparsa nel primo vero aeroplano ultraleggero (da non confondere con i deltaplani a motore).
La nuova idea era un sistema di controllo su due assi. Il pilota è assicurato con una cintura di sicurezza e di fatto non può spostare il proprio peso, ma può agire su una barra di comando collegata con i timoni di direzione e di quota. Le ali non sono dotate di superfici mobili.
La barra di comando agisce parzialmente in modo convenzionale, uno spostamento in avanti determina un abbassamento della prua e uno spostamento all'indietro un suo innalzamento; lo spostamento laterale invece muove il timone nella stessa direzione provocando un'imbardata e quindi un rollio indotto (in una barra di comando convenzionale. o “cloche”, uno spostamento laterale determina uno spostamento degli alettoni sulle ali).
FONTI Ultralight Airplanes by Michael A. Markovsky (Scientific American July 1982) Volare Ultraleggeri - by Guido Medici (1986) Wikipedia Researchgate WholeAir.pdf EAA Forums British hanggliding history Historic wings Pioneer Flyer

 

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